LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
18555-2011   proposto   da:   Vacirca   Antonino    VCRNNN62T11C351I,
elettivamente domiciliato in Roma, via Giovanni Battista Martini  13,
presso  lo  studio  degli  avvocati  Di  Porto  Andrea  e  Pellecchia
Antonella, che lo rappresentano e difendono, giusta delega a  margine
del ricorso - ricorrente - contro Consiglio Notarile di Reggio Emilia
in persona del Presidente, elettivamente  domiciliato  in  Roma,  via
Cosseria 2, presso il dott. Alfredo Placidi, rappresentato  e  difeso
dall'avv.  Guglielmo  Saporito,  giusta   procura   a   margine   del
controricorso e ricorso  incidentale  controricorrente  e  ricorrente
incidentale -  nonche'  contro  Pubblico  Ministero  in  persona  del
Procuratore Generale della Repubblica presso la  Corte  d'Appello  di
Bologna - intimati - ricorrenti incidentali - avverso la sentenza  n.
17/2011 della Corte d'Appello di Bologna dell'1.4.2011, depositata il
19/04/2011; 
    Udita la relazione della causa svolta nella camera  di  consiglio
del 06/12/2012 dal Consigliere Relatore dott. Antonio Segreto; 
    Udito per il ricorrente l'avvocato Andrea Di Porto che si riporta
agli scritti e deposita n. 2 cartolina A/R. 
    E' presente il Procuratore Generale in persona  del  dott.  Mario
Fresa che ha concluso  per  la  remissione  del  ricorso  alla  Corte
Costituzionale. 
 
                      Ordinanza interlocutoria 
 
Osservato in fatto 
    La Commissione regionale di disciplina per l'Emilia Romagna,  con
decisione del 4.6.2009, riconosceva il notaio  Vacirca  Antonino  con
sede in Reggio Emilia colpevole degli addebiti di cui agli artt. 36 e
38 del codice deontologico nel testo approvato con deliberazione  del
Consiglio Nazionale del Notariato n.  1/62  del  26.1.2007  per  aver
redatto un gran numero di atti nelle stesse giornate tra 11 giugno ed
il 28 dicembre 2007 (da un minimo di 13 ad un massimo  di  33),  atti
rappresentati prevalentemente da compravendite, mutui,  cancellazioni
o iscrizioni ipotecarie, dimostrando una frettolosita' dell'attivita'
ed  un  mancato  rispetto  del  principio   di   personalita'   della
prestazione notarile. La corte  di  appello  di  Bologna,  adita  con
reclamo dal notaio, ha confermato la decisione impugnata con sentenza
depositata l'1.4.2004. 
    Riteneva la corte di merito che era stata raggiunta la prova, sia
pure indiziaria, della violazione dei principi deontologici suddetti,
in quanto i molteplici appuntamenti ed il  numero  di  atti  raccolti
rendeva  impossibile  che  la  prestazione  del  notaio  fosse   resa
personalmente, secondo l'accezione deontologica  che  differenzia  la
figura di un notaio rispetto ad altre categorie professionali; che il
giudizio di frettolosita' non era smentito dal collegamento fra  vari
atti, non essendo possibile ipotizzare la lettura  completa  di  tali
atti in pochi minuti, come ad esempio il 18 luglio 2007 per gli  atti
collegati, su un totale di 29, sottoscritti alle ore 19,05, alle  ore
19,06 e 19,10. 
    Riteneva, quindi, la Corte congrua la  misura  inflitta  di  mesi
quattro di sospensione, tenuto anche  conto  che  in  precedenza  era
stata inflitta all'incolpato una sanzione  della  censura  per  altra
violazione. 
    Avverso questa sentenza ha proposto  ricorso  per  cassazione  il
notaio Vacirca Antonino. 
    Resiste con controricorso il Consiglio notarile di Reggio Emilia,
che ha anche presentato ricorso incidentale. 
    Con memoria presentata a norma dell'art.  380-bis,  comma  2,  il
ricorrente  notaio  in  via   preliminare,   deduceva   l'intervenuta
prescrizione  dell'illecito  disciplinare,   prospettando,   la   non
manifesta    infondatezza    dell'eccezione     di     illegittimita'
costituzionale dell'art. 146 della legge 16  febbraio  1913,  n.  89,
come sostituito dall'art. 29 del d.lgs. 1° agosto 2006, n.  249,  per
supposto eccesso di delega della nuova previsione rispetto alla legge
delega 28 novembre 2005, n. 246, con violazione dell'art. 76 Cost. 
Osservazioni in diritto 
    La prospettata questione di legittimita' costituzionale e'  -  ad
avviso  del  collegio  -  rilevante  nel  presente  giudizio  e   non
manifestamente infondata, dovendosi far proprie le osservazioni  gia'
mosse da questa Corte (Sez. Il) con ordinanza n. 17697/2012. 
    L'art. 146, comma 1, della citata legge notarile n. 89 del  1913,
nella sua  originaria  formulazione,  prevedeva,  per  le  violazioni
disciplinari in essa indicate, un termine prescrizionale  di  quattro
anni,  senza  contemplare  alcuna  ipotesi  di  interruzione  ne'  di
sospensione della prescrizione, neppure  per  l'eventualita'  in  cui
l'infrazione  avesse  rilievo  penale.  Alla  stregua  di  tale  dato
normativo la giurisprudenza di questa  Corte  (cfr.,  tra  le  tante,
Cass. n. 1766 del 1998; Cass. n. 23515 del 2004; Cass.  n.  7088  del
2006 e Cass. n. 644 del 2007) era consolidata  nel  ritenere  che  la
prescrizione  dell'azione   disciplinare   contro   i   notai,   come
espressamente previsto dall'art. 146 della legge 16 febbraio 1913, n.
89, si sarebbe compiuta per effetto del decorso di quattro  anni  dal
giorno in cui l'infrazione era stata commessa «ancorche'  vi  fossero
stati  atti  di  procedura»,  e  quindi  non  avrebbe  potuto  subire
interruzione   a   causa   del   procedimento   disciplinare,   della
contestazione delle violazioni, delle pronunce del Consiglio notarile
o in sede giurisdizionale, salva la sospensione della prescrizione in
conseguenza della pendenza del procedimento penale, a  seguito  della
sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2 febbraio 1990. Si era
anche statuito che detta prescrizione determinava  l'improcedibilita'
dell'azione disciplinare, operante «ex lege», e avrebbe dovuto essere
rilevata anche d'ufficio ed in sede di legittimita', con  conseguente
cassazione senza rinvio delle sentenze impugnate,  restando  precluso
ogni esame  nel  merito  dei  motivi  di  ricorso.  Si  e',  inoltre,
precisato che  la  disciplina  dettata  in  materia  dalla  normativa
sopravvenuta di cui al d.lgs. 1° agosto 2006, n. 249, si applica - in
virtu' della disposizione di cui al comma 2 dell'art. 54 dello stesso
testo normativo - ai fatti commessi anteriormente alla data della sua
entrata in vigore solo  se  quella  modificata  dell'art.  146  della
predetta legge n. 89 del 1913 risulti piu' favorevole (cfr., a questo
proposito, la citata Cass. n. 644 del 2007 nonche'  la  piu'  recente
Cass. n. 2031 del 2010, ord.). 
    Con la legge 28 novembre  2005,  n.  246  il  Parlamento  ebbe  a
delegare il Governo, con  la  disposizione  di  cui  all'art.  7,  ad
adottare appositi decreti legislativi per il «riassetto normativo  in
materia di ordinamento  del  notariato  e  degli  archivi  notarili»,
stabilendo - al n. 3) della lettera e) del  comma  1,  riferito  alla
«revisione dell'ordinamento disciplinare» -  che  si  sarebbe  dovuto
legiferare anche in ordine alla «previsione della  sospensione  della
prescrizione in caso di procedimento penale e revisione dell'istituto
della recidiva». In relazione a tale contenuto della legge delega  il
legislatore delegato, con l'art. 29 del decreto legislativo 1° agosto
2006, n. 249, ha completamente  sostituito  il  precedente  art.  146
della legge 16 febbraio 1913, n. 89, con  la  previsione  di  quattro
commi:  il  primo  comma  contempla  l'allungamento  del  termine  di
prescrizione da quattro a cinque anni, sempre decorrente  dal  giorno
di commissione dell'infrazione (ovvero,  per  le  infrazioni  di  cui
all'art. 128,  comma  3,  commesse  nel  biennio,  dal  primo  giorno
dell'anno successivo); - il secondo comma prevede una disciplina  del
tutto nuova in tema di interruzione  della  prescrizione,  risultando
stabilito che essa e', per l'appunto, interrotta dalla  richiesta  di
apertura  del  procedimento  disciplinare  e  dalle   decisioni   che
applicano una sanzione disciplinare, aggiungendosi, altresi', che  la
prescrizione,  se  interrotta,  ricomincia  a  decorrere  dal  giorno
dell'interruzione, e con la precisazione che, in caso di esercizio di
plurimi  atti  interruttivi,  la  prescrizione   decorre   nuovamente
dall'ultimo di essi, prevedendosi, tuttavia, che, pur in caso di piu'
interruzioni, non puo' essere superato il  limite  massimo  di  dieci
anni; - con il terzo comma risulta  sancito  che,  se  per  il  fatto
stabilito e'  iniziato  un  procedimento  penale,  il  decorso  della
prescrizione e' sospeso fino al passaggio in giudicato della sentenza
penale; - con il quarto ed ultimo comma e' previsto che  l'esecuzione
della condanna alla sanzione disciplinare si prescrive nel termine di
cinque  anni,  dal  giorno  in  cui  il  provvedimento  e'   divenuto
esecutivo. 
    Nell'articolato dello schema del decreto legislativo adottato dal
Ministero della Giustizia in attuazione del richiamato art.  7  della
legge n. 246 si affermava che,  con  l'art.  29,  era  stata  appunto
prevista la sostituzione dell'art. 146 della legge notarile  relativo
alla disciplina della prescrizione, evidenziandosi  che,  poiche'  la
predetta disposizione aveva dato luogo a gravi problemi  applicativi,
a causa della brevita' del termine  e  della  mancata  previsione  di
cause di interruzione, la nuova disposizione allungava questo termine
e  ne  prevedeva  espressamente  l'interruzione  e  la   sospensione,
specificandosi che, in particolare, la previsione  della  sospensione
della prescrizione in caso di azione penale era stata correlata  alla
previsione della sospensione dello stesso procedimento  disciplinare,
in pendenza di quello penale,  in  conformita'  alla  sentenza  della
Corte costituzionale 2 febbraio 1990, n. 40,  che  aveva  dichiarato,
sul punto, l'incostituzionalita' del precedente disposto del medesimo
art. 146. 
    Orbene, sulla scorta di questo quadro normativo  e  del  rapporto
intercorrente tra legge delega e decreto  legislativo  delegato,  non
sembra possa dubitarsi che il legislatore delegato sia incorso in  un
eccesso di delega, con conseguente violazione dell'art. 76 Cost., dal
momento che, a fronte di una cornice di principi e criteri  direttivi
riferita  ad  un  oggetto  definito  e  ben  delimitato,  trasparente
dall'art.  7  della   legge   n.   246   del   2005   (rivolto   alla
regolamentazione dell'istituto della sospensione  della  prescrizione
in correlazione con  la  pendenza  del  procedimento  penale  e  alla
revisione della  recidiva),  ha  stabilito  -  nei  primi  due  commi
dell'art. 146  della  c.d.  legge  notarile  riformato  -  una  nuova
disciplina  che,  pur  attenendo  all'istituto   della   prescrizione
(anteriormente riferito  all'azione  disciplinare  ed  ora  correlato
propriamente    all'illecito    disciplinare),    ha    involto    la
regolamentazione dell'aspetto della sua interruzione  (al  comma  2),
prima  del  tutto  assente   nella   predetta   legge   (e   ritenuto
assolutamente  inoperativo  in   tale   materia   dalla   consolidata
giurisprudenza), con  la  ulteriore  previsione  dell'allungamento  a
cinque anni del relativo termine prescrizionale (al comma 1). In  tal
senso si reputa che con l'art. 29 del  d.lgs.  n.  249  del  2006  il
Governo delegato abbia violato  i  principi  e  criteri  direttivi  e
superato il limite  oggettivo  presenti  nella  delega,  coinvolgendo
altre  situazioni  che,  sia  pur  connesse,  hanno  determinato   un
illegittimo esercizio del potere legislativo  discrezionale,  siccome
svincolato, appunto,  dai  rigidi  criteri  direttivi  predeterminati
dalla  legge  delega,  essendo  indubbia  la  diversa  natura  e   la
differente efficacia tra  gli  istituti  della  sospensione  e  della
interruzione  della  prescrizione,  i  quali  non  presentano   alcun
rapporto di progressivita' (cfr. Cass. n. 6901 del 2003 e Cass. 10254
del 2002). 
    Del resto, se e' pur vero che i  criteri  direttivi  della  legge
delega vanno valutati, al fine di verificare se la norma delegata sia
ad essi rispondente, anche  alla  luce  delle  finalita'  ispiratrici
della delega stessa (cfr., ad es., Corte cost. n. 285 del 2006),  non
puo' dirsi che, nella specie, il legislatore delegato  si  sia  mosso
nel solco di tali scopi, poiche' il campo della sua azione  normativa
era stato oggettivamente limitato ad  armonizzare  il  solo  istituto
della sospensione con l'eventualita' della contemporanea pendenza del
procedimento penale relativo allo stesso fatto rilevante  anche  come
illecito  disciplinare,  in  consonanza  con  gli  effetti   (percio'
recepiti a livello normativo) discendenti dalla sentenza della  Corte
costituzionale n. 40 del 1990, in presenza di un contesto complessivo
normativo precedente che, nella materia  disciplinare  notarile,  non
aveva mai visto regolamentata anche l'interruzione della prescrizione
(v., per la rilevanza della legislazione precedente a tal  proposito,
Corte cost. n. 3 del 1957; Corte cost. n. 31 del 1967; Corte cost. n.
135 del 1967 e Corte cost. n. 28 del 1970). In tal senso, quindi, con
il d.lgs. n. 249 del 2006 si  e'  proceduto  alla  previsione  di  un
trattamento normativo peggiorativo  nella  suddetta  materia  per  la
categoria  notarile  in  assenza  di  un  esplicito   ed   inequivoco
riferimento nella  legge  delega  (per  recenti  esempi  di  ritenuta
sussistenza dell'eccesso di delega cfr. Corte cost. n. 503 del  2000;
Corte cost. n. 212 del 2003 e Corte cost. n. 71 del 2008). 
    Del resto e' risaputo che tra norma delegata e norma delegante si
instaura un «naturale rapporto di riempimento»  (v.,  ad  es.,  Corte
cost. n. 308 del 2002 e  Corte  cost.  n.  426  del  2006),  ma  tale
relazione implica che il legislatore delegato  debba  adottare  norme
che, in ogni caso, rappresentano un coerente  sviluppo  della  scelta
espressa dal legislatore delegante e delle ragioni ad  essa  sottese,
senza,   percio',   poter   pervenire   a   regolamentare    istituti
completamente nuovi che, ancorche' connessi con quelli presenti nella
legge delega, involgono l'applicabilita' di una disciplina del  tutto
diversa e basata su presupposti differenti (in un ambito di riassetto
ordinamentale riferito, nel caso di specie, a quello del  notariato),
come tale da considerarsi completamente innovativa, anche in funzione
del rispetto del limite di ragionevolezza  implicato  dai  criteri  e
principi direttivi e  dalla  delimitazione  dell'oggetto  trasparenti
dalla medesima legge delega. 
    Alla stregua delle riportate argomentazioni il  collegio  ritiene
che la prospettata questione di costituzionalita'  involgente  l'art.
146, commi 1 e 2,  della  legge  n.  89  del  1913,  come  sostituito
dall'art. 29 del d.lgs. n. 249 del 2006,  in  relazione  all'art.  76
Cost. non sia manifestamente infondata in ordine al ravvisato eccesso
di delega da parte  del  legislatore  delegato,  con  riferimento  ai
principi e criteri direttivi definiti nell'art. 7 della legge  delega
28  novembre  2005,  n.  246,  con   particolare   riferimento   alla
disposizione di cui al comma 1, lettera  e),  n.  3,  riguardante  la
revisione  dell'ordinamento   disciplinare   notarile   mediante   la
«previsione  della  sospensione  della  prescrizione   in   caso   di
procedimento penale», che lo vincolavano, percio', a legiferare entro
questi ristretti limiti, senza il conferimento di un potere normativo
delegato che potesse estendersi  fino  alla  individuazione,  in  via
generale,   di   una   nuova   disciplina   dell'interruzione   della
prescrizione e dell'allungamento del termine della prescrizione. 
    La questione di legittimita' costituzionale  e'  anche  rilevante
nel giudizio in  questione  dal  momento  che,  ricadendo  l'illecito
disciplinare  per  il  quale  il  ricorrente  e'   stato   sanzionato
nell'ambito temporale di applicabilita'  del  nuovo  art.  146  della
legge n. 89 del 1913 (essendo stato riportato in atti  come  commesso
entro   il    dicembre    2007),    l'eventuale    declaratoria    di
incostituzionalita' dei primi due commi dello stesso art.  146,  come
riformato con l'art. 29 del d.lgs. n. 249  del  2006,  comporterebbe,
non  applicandosi  ipotesi  interruttive  e   non   tenendosi   conto
dell'allungamento del  termine  prescrizionale  a  cinque  anni,  che
l'infrazione  disciplinare  (in   virtu'   della   reviviscenza   del
precedente disposto dell'art. 146 della legge  n.  89  del  1913,  il
quale prevedeva la durata della prescrizione in  quattro  anni  senza
contemplare ipotesi interruttive)  si  sarebbe  gia'  prescritta  nel
dicembre 2011,  con  la  conseguenza  che,  nella  presente  sede  di
legittimita', dovrebbe pervenirsi (secondo la costante giurisprudenza
di questa Corte) alla declaratoria  di  improcedibilita'  dell'azione
disciplinare a carico del dott. Antonino Vacirca. 
    Pertanto, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
bisogna disporre  l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale, con la conseguente sospensione del presente  giudizio
e l'assolvimento degli adempimenti notificatori  e  di  comunicazione
prescritti dal comma 4 del citato art. 23.